Nell’elaborato si legge “…La Corte di appello ha respinto il secondo motivo di gravame con cui l’odierna ricorrente aveva lamentato che il Tribunale avesse mancato di indagare l’eccepita nullità del contratto per difetto di causa in astratto e per indeterminatezza dell’oggetto in conseguenza della mancata indicazione in contratto di alcuni elementi essenziali (gli stessi che si sono sopra indicati). Ha escluso, in sintesi, che il mark to market fosse un elemento essenziale del contratto e che la mancanza dello stesso ne determinasse la nullità per difetto di causa.
Si da poi una definizione del mark to market “…ossia il costo, pari al valore effettivo del derivato ad una certa data, al quale una parte può anticipatamente chiudere tale contratto od un terzo estraneo all’operazione è disposto a subentrarvi, ma che deve estendersi agli scenari probabilistici e concernere la misura qualitativa e quantitativa della menzionata alea e dei costi, pur se impliciti, assumendo rilievo i parametri di calcolo delle obbligazioni pecuniarie nascenti dall’intesa, che sono determinati in funzione delle variazioni dei tassi di interesse nel tempo…”
“…la preventiva conoscibilità, ai fini della formazione dell’accordo in ordine alla misura dell’alea, gli elementi ed i criteri utilizzati per la determinazione del mark to market rilevi proprio sul piano causale (Cass. 7 novembre 2022, n. 32705). 2.6. ― Quel che conta, nella presente sede, è che il contratto per cui è lite non recasse menzione del mark to market e dei costi impliciti (pag. 13 della sentenza impugnata) e mancasse in conseguenza di esplicitare il fair value (e cioè il valore) negativo del derivato (ivi, pag. 14). La Corte di appello avrebbe dovuto considerare che le richiamate carenze erano incidenti sulla validità del contratto e tali da determinarne la nullità…”
“…Quanto disposto nell’art. 19 della dir. 2004/39/CE e nell’art. 33 della dir. 2006/73/CE esclude che la necessità di dare evidenza, nel contratto, al mark to market e ai costi impliciti ― necessità postulata dalle Sezioni Unite, e su cui ci si è in precedenza soffermati ― si ponga in conflitto con la disciplina euro unitaria: le indicazioni relative a tali elementi sono piuttosto coerenti con la necessità di specificare i rischi associati all’investimento, le caratteristiche dello strumento finanziario e il prezzo che il cliente deve pagare in relazione allo strumento finanziario e ai servizi ad esso correlati. E del resto, pure la Consob, con la richiamata comunicazione n. 9019104 del 2 marzo 2009, si pone in linea di continuità con tali prescrizioni. Essa, infatti, nel definire i doveri di correttezza e trasparenza in sede di distribuzione di prodotti finanziari illiquidi, ha espressamente raccomandato agli intermediari «di effettuare la scomposizione (c.d. unbundling) delle diverse componenti che concorrono al complessivo esborso finanziario sostenuto dal cliente per l’assunzione della posizione nel prodotto illiquido, distinguendo fair value (con separata indicazione per l’eventuale componente derivativa) e costi ― anche a manifestazione differita ― che gravano, implicitamente o esplicitamente, sul cliente», chiarendo che a quest’ultimo deve essere «fornita indicazione del valore di smobilizzo dell’investimento nell’istante immediatamente successivo alla transazione, ipotizzando una situazione di invarianza delle condizioni di mercato”
Per tali motivi la corte “… rinvia la causa alla Corte di appello di Torino in diversa composizione…”