Quando si sottoscrive un contratto di mutuo con tasso variabile si concorda, implicitamente ed esplicitamente, che il tasso d’interesse applicato non sia fisso nel tempo ma possa quindi variare in funzione di alcuni parametri predeterminati e regolamentati dalle norme dell’accordo.
A differenza del mutuo a tasso fisso, il cui piano di restituzione del finanziamento prevede rate di importo prestabilito sia nella quota capitale che in quella interessi, nel mutuo a tasso variabile i parametri che regoleranno l’ammontare del tasso sono due: lo spread, che non cambia per tutta la durata dell’accordo, e l’indice di riferimento (es. Euribor). Quest’ultimo appunto cambia in funzione dell’andamento del mercati finanziari e dunque può determinare, in parole povere, un tasso di interesse più alto o più basso da corrispondere alla banca.
Tale variazione può avvenire diverse volte nel tempo e dunque regolare l’importo di ogni singola rata del mutuo.
Dal momento che i mercati finanziari possono subire oscillazioni anche importanti, non è da escludere almeno in linea teorica che il tasso di riferimento di interesse possa scendere sensibilmente sino a raggiungere, e superare, la soglia dello “zero”.
Ciò significa che il mutuatario potrebbe non dover più pagare quote interessi e avere, quindi, quella che viene definita gratuita del mutuo, se non addirittura versare una quota inferiore di quota capitale.
Tale evento rappresenta chiaramente un danno potenziale per l’ente erogatore, presumibilmente la banca, la quale quindi adotta spesso delle contromisure per tutelare il proprio ruolo nel finanziamento ed evitare questo tipo di scenari. La contromisura tipica è quella della “Clausola Floor”
La clausola floor per I mutui a tasso variabile è largamente utilizzata. SI tratta in poche parole di un parametro di riferimento del tutto assimilabile a una “soglia”, al di sotto della quale il tasso di interesse applicato non può scendere.
In pratica parliamo di una misura di tutela bancaria che in questo modo garantisce la protezione del finanziamento mettendo a riparo gli interessi dovuti dal mutuatario da oscillazioni finanziarie che potrebbero abbattere il tasso sino ad azzerarlo o, addirittura, intaccare la quota capitale.
In sede giurisprudenziale si è dibattuto a lungo sulla legittimità, o eventuale mancata tale, del mutuo floor e della sua applicazione negli accordi fra mutuante e mutuatario. L’opposizione alla norma mette in dubbio infatti che l’ente erogatore possa cercare di inibire le conseguenze di eventi che porterebbero a gratuità del mutuo.
Tuttavia sull’argomento si sono espressi diversi organi di legge, come il Collegio di Coordinamento dell’Arbitro Bancario Finanziario che a tal proposito specifica alcuni aspetti del tasso floor, della sua applicazione e dei mutui ove viene utilizzato.
Secondo il Collegio, il problema si risolve analizzando la natura stessa del contratto di mutuo: esso non può giuridicamente ammettere un tasso di interesse negativo che addirittura possa intaccare il capitale finanziato dalla banca al mutuatario. Ciò ha valore anche, e soprattutto, quando viene contrattato un accordo di mutuo a tasso variabile.
La giurisprudenza generale sembra dar ragione al Collegio, dal momento che – è opinione prevalente in base soprattutto all’articolo 1813 del codice civile che definisce il contratto di mutuo – vige un obbligo inalienabile da parte del mutuatario: la restituzione delle somme in nessun modo inferiori a quelle mutuate, unitamente agli interessi concordati alla stipula dell’accordo, facenti parte anch’essi degli obblighi che il mutuatario è tenuto ad osservare.
Resta inteso che una clausola floor, per essere valida, deve essere ben compresa, definita e chiarita nel contratto stipulato. È dunque utile, in caso di dubbio, validare l’accordo pre-firma attraverso l’analisi di un professionista del settore, che possa stabilire la validità e la chiarezza di tutti gli aspetti della clausola floor se presente.